Ciao cari lettori,
Quando senti la parola "fede", cosa ti viene in mente?
Forse un campanile che svetta nel cielo, un libro antico con pagine ingiallite, una preghiera sussurrata in silenzio.
Oppure, magari, niente.
Per molti giovani oggi, “fede” suona come un concetto lontano, appartenente a un mondo vecchio, rigido, forse un po’ fuori moda.
Ma se ti dicessi che la fede non è un edificio, né una regola, né una divisa da indossare?
E se invece fosse una lingua?
Una lingua viva, parlata da milioni di persone, anche se con accenti diversi.
Immagina per un attimo di camminare in una piazza del mondo: a Gerusalemme, a Mumbai, a Roma, a Dakar. Ogni angolo ha il suo tempio, la sua moschea, la sua chiesa, la sua sinagoga.
Ma se ti fermi ad ascoltare, tra le preghiere, i canti, i silenzi, senti qualcosa di familiare: parole come 'giustizia', 'rispetto', 'amore', 'perdono', 'cura dell’altro'.
Non importa se la preghiera è rivolta ad Allah, a Dio, a Buddha o alla vita stessa: quei valori risuonano in modo sorprendentemente simile.
La fede, allora, non è un muro che separa. È un ponte. È un modo di parlare dell’essenziale: del senso della vita, del dolore, della speranza, della responsabilità verso chi soffre.
Religioni diverse, culture lontane, tradizioni antiche, tutte usano una lingua comune quando si tratta di parlare del bene comune.
Pensa ai giovani che si mobilitano per il clima, che accolgono chi fugge dalla guerra, che difendono i diritti delle persone LGBTQ+, che si prendono cura degli anziani del quartiere.
Molti di loro non si definiscono “credenti” in senso tradizionale ma agiscono con una profonda "etica della cura", una visione del mondo che ha radici spirituali, anche se non sempre religiose.
È fede, questa?
Sì.
Perché la fede non è solo credere in qualcosa di invisibile: è "credere in qualcosa di più grande di te", e agire di conseguenza.
Nelle scuole, nei movimenti, nei gruppi di volontariato, vediamo giovani di fedi diverse — musulmani, cristiani, ebrei, induisti, atei, agnostici — lavorare fianco a fianco. Non perché hanno smesso di credere, ma perché hanno scoperto che "la fede autentica non divide: unisce".
Quando un ragazzo musulmano aiuta un anziano cristiano a fare la spesa, quando una ragazza ebrea partecipa a un progetto interreligioso per la pace, quando un giovane ateo organizza un evento per promuovere il dialogo, stanno parlando la stessa lingua: quella del rispetto, della compassione, della responsabilità.
La fede non va cercata solo nei libri sacri o nei riti. Va cercata nei gesti quotidiani. Nella scelta di ascoltare invece che giudicare. Nell’impegno a non voltare lo sguardo di fronte all’ingiustizia. Nella capacità di dire “noi” invece di “io”.
La fede non è un edificio. È un movimento. È una vibrazione collettiva che dice: 'c’è qualcosa di più importante della paura, dell’odio, dell’indifferenza'. E quella vibrazione, oggi più che mai, ha bisogno delle voci dei giovani.
Perché siete voi a scrivere il futuro. E se lo scriverete con la lingua della fede, intesa non come dogma, ma come fiducia nel bene, come coraggio di costruire ponti, allora quel futuro sarà più umano, più giusto, più vero.
Parliamone. Ascoltiamoci. E soprattutto: agiamo.
Perché la fede, quando è viva, non si ferma alle porte di un tempio.
Esce fuori. Cammina. Cambia il mondo.
Un abbraccio dal vostro prof. Maurizio Ricci
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