L'INSEGNANTE PRIGIONIERO

 



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Oggi l'argomento scotta ma alle volte bisogna bruciarsi per fare capire...

L'insegnante prigioniero: quando la scuola smette di essere un laboratorio di idee


Giulia è una maestra di terza elementare che ogni mattina entra in classe con un sorriso, pronta a trasformare la matematica in un gioco o la storia in un'avventura. Ma dopo mezz'ora, il suo entusiasmo si scontra con la realtà: il piano ministeriale le impone di seguire una scheda rigida, con esercizi prefissati e un orario che non lascia spazio alla curiosità dei bambini. "Sono diventata un'attrezzatura umana", mi racconta, "non un educatore".


Fin dai primi anni Sessanta, il problema della «pedagogia ministeriale» e della sua capacità di manipolare l'approccio didattico degli insegnanti è stato al centro del dibattito. Oggi, la situazione è peggiorata: i docenti sono costretti a insegnare "secondo manuale", senza poter adattare i contenuti alle esigenze reali dei loro studenti. Eppure, la scuola non è un'automobile che si guidi con il pedale dell'acceleratore: è un giardino che richiede cura, attenzione e flessibilità.


Circa due terzi degli insegnanti italiani dichiarano di non sentirsi apprezzati dalla società, mentre il 72% di loro segnala un senso di disconnessione tra ciò che insegnano e le esigenze reali dei propri studenti.  Immagina un professore di scienze che vorrebbe far sperimentare ai ragazzi la fotosintesi con un esperimento pratico, ma non può perché il ministero ha stabilito che "i programmi devono essere coperti in 30 lezioni". Oppure un insegnante di lettere che vorrebbe parlare di un romanzo contemporaneo, ma è obbligato a seguire un elenco di testi obbligatori che non hanno nulla a che fare con la vita dei ragazzi di oggi.


La svalutazione del mestiere di insegnante è un tema ricorrente: le condizioni di lavoro, le risorse insufficienti e la mancanza di riconoscimento sociale stanno spingendo molti professionisti a lasciare la scuola. E non è solo questione di soldi: i docenti italiani percepiscono salari tra i più bassi d'Europa, con scioperi frequenti per chiedere condizioni economiche più dignitose.  Ma il problema va oltre lo stipendio: è la mancanza di autonomia che fa male. 


Anche se sono stati creati nuovi posti per svolgere i compiti amministrativi che prima spettavano a loro, gli insegnanti continuano a farsi portatori di un carico burocratico insostenibile: moduli da compilare, report di valutazione, controlli di qualità che svuotano le loro giornate. Una volta, un insegnante poteva dedicare il 90% del tempo all'attività didattica. Oggi, il 60% del suo lavoro è legato a burocrazia, mentre solo il 40% è dedicato agli studenti. È come se chiedessimo a un chirurgo di passare più tempo a riempire cartelle cliniche che a operare.


Le riforme recenti, come il D.Lgs. 59/2017 e la legge 79/2022, hanno introdotto nuovi corsi di formazione iniziale, ma spesso non risolvono i problemi strutturali che limitano l'autonomia. Perché una riforma della formazione degli insegnanti in Italia implica molto di più di un "semplice" dettato normativo. Richiede la volontà di ripensare il ruolo della scuola nella società. 


Ecco un esempio concreto: in una scuola di Toscana, un insegnante di matematica ha creato un progetto per insegnare le frazioni usando la cucina. I bambini pesavano ingredienti, misuravano porzioni e risolvevano problemi in modo pratico. Ma il ministero ha bocciato il progetto perché "non rientrava nei parametri standardizzati". La verità è che questa scuola non è un laboratorio di idee, ma una fabbrica di risultati numerici.


Quando gli insegnanti non possono essere creativi, i ragazzi imparano a memorizzare invece di capire, a obbedire invece di pensare. E questo non è solo un problema per la scuola: è un problema per la società intera. Un popolo che non sa criticare, creare o adattarsi è un popolo debole. 


Serve un cambiamento radicale: dare agli insegnanti più autonomia, risorse e rispetto. Solo così la scuola potrà essere un luogo di crescita reale, non un'astrazione burocratica. Perché un insegnante non è una macchina da programmare: è un essere umano che merita di poter essere "umano".


Un saluto dal vostro prof. Maurizio Ricci 

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