Ormai passo
più tempo tra i morti che tra i vivi, se non fosse per il mio labrador di
quattro anni, Orfeo, e per il mio fidanzato, che però vedo sporadicamente
perché è interprete al Parlamento Europeo, a Strasburgo.
Negli ultimi anni, la mole di impegni presso
l'Istituto di Medicina Legale di Milano dove lavoro è aumentata a dismisura, a
causa dell'incremento dei crimini violenti. Il mio ultimo caso, un senza fissa
dimora massacrato da un gruppo di ragazzini xenofobi, è stato particolarmente
impegnativo perché dall'esame autoptico è emerso che, prima di morire, il
giovane è stato a lungo seviziato.
A volte
vorrei esaminare corpi che si sono addormentati pacificamente nel sonno solo
per non dover ricostruire i retroscena più squallidi e psicotici di una morte
violenta. Poi però mi rendo conto che il fascino del mio “mestiere” consiste
proprio nel ripercorrere il quadro criminale che ha animato la mente e le
braccia di un individuo per portarlo a togliere la vita ad un altro individuo.
Anzi, spesso
mi capita di pensare a ciò che retina e cristallino del cadavere che ho tra le
mani hanno visto per l'ultima volta. Un pensiero del genere mi ha tormentato
per la morte di Roberta D.N., una donna sulla trentina, caucasica, alta, bionda
e ben vestita rinvenuta dalla Polizia lungo i Navigli.
Da un primo
esame visivo, il corpo presenta numerose ferite da arma da taglio di cui una
profonda, quella mortale, alla giugulare. Dall'autopsia emergono particolari
più interessanti: la donna, poco prima di essere uccisa, ha bevuto del succo di
frutta ed ha mangiato una barretta al cioccolato; sotto le sue unghie ho
trovato fibre di cotone che ho inviato ai miei colleghi del laboratorio
chimico, che sfortunatamente non hanno rinvenuto nessuna traccia di DNA umano.
È come se Roberta si fosse difesa da un
assassino completamente vestito, senza un centimetro di pelle scoperta. Fuori
dal laboratorio c'è Michela De Sanctis, commissario della questura di Milano,
ma soprattutto mia grande amica sin dai tempi del liceo che aspetta il mio
referto.
Penso che io
e Michela siamo state amiche anche nelle vite precedenti, nel caso ce ne siano,
perché la nostra intesa supera ogni immaginazione. Il diverso percorso di studi
ci ha per un breve tempo separate, ma la passione per la legalità e la medicina
ci ha alla fine ricongiunte: io, Francesca, l'anatomo-patologa dal cuore di
ghiaccio, lei Michela, il commissario tutto d'un pezzo. Quando quel giorno la
incontro fuori dal laboratorio, mi sfilo i guanti per poterla abbracciare e le
confido subito le mie osservazioni in merito al cadavere.
Anche
Michela è turbata dal fatto che sotto le unghie della vittima, che ha lottato
ferocemente fino alla morte, non vi sia materiale biologico.
Mi chiede
notizie sulla natura dell'arma del delitto visto che sulla scena del crimine
non è stata rinvenuta. Le spiego che i margini delle ferite non sono lacerati,
segno che si tratta di un'arma piccola e precisa, come pure il taglio della
giugulare sembra essere stato praticato da una mano esperta che sa come
recidere quella vena. Lungo il corridoio dell'Istituto è un viavai di
poliziotti, tecnici e medici, tutti affannati nel dare una risposta all'enigma
di Roberta.
Dai chimici
trapelano le prime notizie sulle fibre di cotone: esse appartengono ad un
tessuto che non viene usato nell'abbigliamento comune, ma in quello medico per
realizzare camici e come riprova ci sono delle tracce di disinfettante
chirurgico. Ma il bello deve ancora arrivare perché tra i residui di cibo
rinvenuti nello stomaco della donna ci sono anche frammenti di lattice, la
sostanza con cui sono realizzati i guanti usa e getta.
L'ulteriore
esame su quei frammenti porta a pensare che Roberta sia stata uccisa mentre con
una mano l'assassino le tappa la bocca per impedirle di urlare e lei, nel
dimenarsi, gli da' un morso strappando il guanto. Il quadro è sempre più
complicato. Guardo il corpo senza vita di Roberta e mi chiedo perché quegli
occhi non parlino. Entra in laboratorio Luca, il mio collega anziano, il veterano
del team. Vuole ragguagli sul caso.
Gli espongo
gli elementi in mio possesso e si mostra quasi sicuro che si tratti di un
omicidio avvenuto nei luoghi della movida milanese per futili motivi. Io non
sono del suo stesso avviso anche perché Michela, con le sue indagini, mi ha
riferito che la vittima, felicemente coniugata, conduce un’esistenza divisa tra
famiglia e lavoro presso una scuola privata di Milano. Luca si allontana
dall'ambulatorio non persuaso dalle mie parole ed entra il portantino addetto
alla rimozione del cadavere per ricomporlo prima di restituirlo alla famiglia
per i funerali.
L'uomo si
ferma nei pressi del tavolo autoptico sgomento, allibito: lui conosce quella
donna o per lo meno l'ha incontrata in Istituto nei giorni precedenti, in
prossimità dell'orario di chiusura. Sconcertata dalla dichiarazione, chiamo
immediatamente Michela che si precipita ad interrogare l'uomo.
Acquisite le
sue dichiarazioni e alla luce dei risultati medico-chimici, Michela è sempre
più convinta che l'omicidio possa essersi svolto all'Istituto di Medicina
Legale. Mi chiede a quel punto se abbia visto qualche volta la donna da quelle
parti, ma per me è un volto nuovo che non ho mai incrociato.
Quindi
Michela raduna nella sala conferenze tutti gli impiegati del centro per
interrogarli in modo informale. Sfilano ad uno ad uno tutti i dipendenti ed i
colloqui vanno avanti per ore, sino a tarda sera. Resto lì anch'io fino a
quando cioè non esce dalla sala l'ultimo sospetto, Luca.
Michela ha
il viso stravolto dalla fatica e due agenti arrivano con un mandato di
perquisizione. Rovistano dappertutto: negli armadietti, nelle scrivanie, nelle
memorie dei PC, nelle celle frigorifere per i cadaveri. Si soffermano su due
involucri, di una bevanda e di uno snack, trovati nel cestino dei rifiuti
nell'ufficio di Luca. Adesso l'attenzione si focalizza su di lui e viene
tartassato sulle sue abitudini, sulle sue frequentazioni, sui suoi interessi.
Fuori dalla sua stanza, posso udire le battute, a volte concitate, che Luca e Michela
si scambiano.
Volano
parole forti, intuisco accuse ben precise e ipotizzo che Luca c'entri qualcosa
con la morte di Roberta. Due agenti escono dal suo ufficio diretti presso
l'abitazione del mio collega, convinti di poter trovare elementi importanti.
Nel frattempo Michela non molla la preda ed arriva a suggerirgli di chiamare il
suo avvocato.
Dopo un paio
d'ore, gli agenti tornano in Istituto con un sacco nero della spazzatura e ne
mostrano il contenuto a Luca. Volano ancora parole forti, stavolta intervallate
anche da una specie di singhiozzo o pianto. P
oco dopo
escono tutti dall'ufficio: Michela è alla testa del corteo seguita dai
poliziotti che tengono sotto braccio il mio collega. Si dirigono di fretta
verso l'uscita e le gazzelle ripartono a sirene spiegate. Il silenzio piomba si
di noi. Torniamo a casa con un peso di angoscia e turbamento indescrivibile.
Dai TG della notte apprendo dell'arresto di Luca per femminicidio.
Ebbene sì,
un ennesimo caso di femmnicidio nella Milano perbene. Luca e Roberta, entrambi
legati a dei compagni stimati e rispettabili, erano amanti e spesso consumavano
i loro incontri proprio nell'Istituto di Medicina Legale.
Durante
l'ultimo però qualcosa non è andato per il verso giusto: Roberta, stanca della
relazione segreta, vuole confessare tutto alla moglie di Luca per rendere il
loro rapporto trasparente.
A
quell'idea, l'uomo ha cercato di dissuaderla ma invano, così, sentendosi
minacciato negli affetti più cari, ha brutalmente ucciso l'amante con un
bisturi.
Tutto si è
consumato nel luogo che più amo: alla fine gli occhi di Roberta hanno parlato
svelando dove ̓έρωϛ e θάνατοϛ si sono incontrati per l'ultima volta.
Attendo vostri graditi commenti e richieste.
Continuate a leggere i miei racconti.
Un saluto a tutti i lettori da Blabla
Purtroppo sentiamo quotidianamente parlare di femminicidio, questo thriller aiuta a riflettere quanto sia complesso capire il motivo di questo gesto odioso ed esecrabile.
RispondiEliminaContinuiamo a parlarne in tutti i modi, la violenza è da condannare.
Marco