IL CULTO DEI MORTI DAL MESSICO A NAPOLI



 Cari lettori anche se l'argomento può sembrare difficile da affrontare di sicuro vi stupirà come le tradizioni di paesi lontani si incontrino e come Halloween non sia riconducibile ad alcun aspetto culturale del nostro paese.

Il Dia de los Muertos è sicuramente una delle feste più rappresentative del Messico, caratterizzata da lunghi festeggiamenti e riconosciuta patrimonio culturale dell’umanità dall’Unesco. Per questa occasione l’Instituto Cervantes di Napoli inaugurerà il 31 ottobre alle ore 18:30 una mostra a tema che sarà visitabile fino al prossimo 8 novembre.

Il Dia de los Muertos per i messicani rappresenta un momento di gioia e non va confusa con Halloween che è vista come una notte di terrore e malizia. Gli “spiriti” sono accolti con gioia poiché rappresentano i membri della famiglia che tornano a trovare i loro cari. In Messico si festeggia organizzando canti, balli e preparando pietanze particolari secondo i gusti dei propri cari scomparsi, affinché questi ascoltino le preghiere.

L’origine della festa è da ricercare nella Mesoamerica degli aztechi e dei toltechi, popoli caratterizzati dal culto “irrispettoso” per i morti. Nelle civiltà precolombiane i defunti erano considerati ancora membri della comunità, tenuti in vita nello spirito e nella memoria dei propri cari. Poi con l’arrivo dei conquistadores spagnoli, la festa è arrivata anche in Europa fondendosi con il giorno di Ognisanti e con quello dedicato alla commemorazione dei defunti.

In alcune comunità, ancora oggi, si festeggia trascorrendo l’intera notte nel cimitero, ma l’esperienza della morte è vissuta in maniera allegra poiché rappresenta il passaggio a miglior vita. Il centro della celebrazione è un altare decorato con oggetti colorati che rappresenta la porta tra la vita e la morte. Anche i costumi sono caratterizzati da colori sgargianti ispirati alla signora dei morti azteca, Catrina. Altra usanza tipica è legata alla preparazione delle calaveras. Nate come dolciumi a forma di teschi decorati, si sono poi evolute in giocattoli o maschere da portare durante le sfilate e le processioni. La figura variopinta della calavera ha ispirato artisti di tutto il mondo, come Frida Kahlo che arricchiva con queste rappresentazioni i suoi dipinti surreali.

Il Dia de los Muertos è stato riconosciuto nel 2008 dall’Unesco come patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Nel 2017 è stato dedicato a questa festività il film d’animazione “Coco” prodotto da Pixar Animation e distribuito da Walt Disney Picture

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Storia e tradizioni del culto dei morti in Campania


Dalla letteratura alla gastronomia, i defunti continuano a vivere nella “crianza” che si pratica in loro onore

“Ogn’anno, il due novembre, c’è l’usanza per i defunti andare al Cimitero. Ognuno ll’adda fa’ chesta crianza; ognuno adda tené chistu penziero”.

Recitano così i primi versi de “’A livella”, di Antonio De Curtis, in arte Totò, una delle poesie più belle e significative legate alla morte, un tema molto sentito in tutto il Sud Italia, dove i defunti continuano a vivere nelle attenzioni e nei rituali – la “crianza” – che la gente pratica in loro onore.

Il “culto dei morti” in Campania è una questione seria e importante.

A Napoli, per esempio, sono due i luoghi simbolo dove il legame tra vivi e morti è ancora molto forte: uno è il Cimitero delle Fontanelle, nel Rione Sanità; l’altro è la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco in via dei Tribunali, nel centro storico della città, dove un tempo si praticava il culto delle anime pezzentelle.

Secondo questa tradizione, ogni anima sceglie il suo protettore, gli indica in sogno dove trovare i suoi resti tra le ossa accumulate e chiede cure e attenzioni in cambio di qualche grazia: numeri da giocare al lotto, un lavoro o addirittura un marito, come promette Lucia, la sfortunata sposa protettrice degli innamorati.

Il legame tra il mondo terreno e quello ultraterreno ha, in realtà, origini molto antiche ed è riconducibile, per certi versi, alla tradizione celtica dello Samhain – dal termine gaelico “samhuinn” che significa “fine dell’estate” (summer’s end) – un rituale propiziatorio che si celebrava il 31 ottobre per esorcizzare l’arrivo dell’inverno e rendere gli dei benevoli nei confronti della comunità.

La morte era il tema principale dello Samhain, in sintonia con il ciclo della natura e con l’arresto momentaneo che la vita subiva nel corso dell’inverno. Inoltre, sempre il 31 ottobre, si riteneva che gli spiriti dei morti, che abitavano il Tir nan Oge – una sorta di paradiso cristiano – potessero tornare sulla terra e vagare indisturbati nell’arco di una breve dimensione temporale in cui il loro mondo e quello dei vivi potevano entrare in contatto.

In Campania, nei giorni dedicati al culto dei morti, sopravvive la convinzione che, nella notte tra il 1 e il 2 novembre le anime dei defunti possano ricongiungersi ai propri cari e tornare nei luoghi in cui hanno vissuto.

Ed è per questo che, per far sì che le anime si possano rifocillare prima di tornare nel loro mondo e avere così la loro benevolenza, si lascia sulla tavola della cucina un bicchiere di vino, acqua, pane, un pezzo di baccalà e altri piccoli omaggi che i vivi preparano alle anime itineranti per il loro viaggio.

Tra queste attenzioni non può mancare il torrone dei morti, una traduzione culinaria, presente ancora al giorno d’oggi, costituita da un guscio di cioccolato duro e da una parte interna morbida la cui forma ricorda la bara del defunto. I torroni di piccole dimensioni sono chiamati “morticelli“, e poi ci sono i torroncini caramellosi a forma di bastoncino detti anche “ossa ‘i muort“, che vengono realizzati spezzettando le mandorle e cuocendoli in un tegamino insieme allo zucchero e all’acqua.

In alcune località campane si ritiene, addirittura, che la permanenza dei defunti non si esaurisca in una notte sola ma vada avanti fino al giorno dell’Epifania.

In tempi non recenti, infatti, ogni 17 gennaio, giorno in cui la Chiesa celebra Sant’Antonio Abate, si toglievano dalla grotta i personaggi della Natività e si mettevano le figurine delle anime purganti, molto spesso poste nell’atto di attraversare dei ponti, a simboleggiare il collegamento del mondo dei vivi con quello dell’oltretomba.

Il presepe poi veniva tolto il giorno della Festa della Candelora, che cade il 2 febbraio di ogni anno.


Marina Indulgenza



Mi auguro che queste informazioni vi siano servite per comprendere come sia facile cadere in sterili imitazioni dettate da un mercato economico più che da seri motivi culturali.


Un saluto dal vostro prof. Maurizio Ricci

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