Cari lettori oggi cerco di affrontare un grave problema che affligge la nostra società dando modesti pareri.
In una società come la nostra la differenza tra ‘essere’ ed ‘apparire’
sono fenomeni che ci troviamo ad affrontare quotidianamente, un aspetto prevale
sull’altro e sicuramente avrete capito che ‘apparire’ è una esigenza che
prevarica qualsiasi altra e condiziona il pensiero di molti giovani schiacciati
da questa ideologia che il consumismo e una cultura sempre più lacunosa
favoriscono.
I giovani se opportunamente educati sanno dare la corretta
importanza ai valori su cui si basa il vivere in società ma si scontrano con un
problema davvero complesso che è il vivere in gruppo o in ’branco’ se vogliamo
usare una terminologia di moda, proprio il pensiero condiviso nel gruppo
diventa una triste proposta di azioni ed atteggiamenti di infimo livello.
Quali siano le cause che individui, se presi singolarmente
dimostrano buone capacità logiche e una discreta competenza valoriale, mentre
inseriti nel branco vengono fagocitati in una condizione di sudditanza totale e
spinti ad azioni senza una logica sensata, sono un problema di difficile
soluzione.
Chi può fare qualcosa rimangono la famiglia e la scuola i
due punti di riferimento dove si forma un individuo, ma se anche questi cardini
sono traballanti?
Bisogna ripartire dai genitori che ai giorni nostri appartengono
a generazioni cresciute a loro volta con questi problemi, la giovane età di
parecchie famiglie rende precario un rapporto valoriale dove alcuni passaggi
nello sviluppo culturale ed umano sono saltati e ci troviamo di fronte ‘giovani adulti’ che devono gestire situazioni
più complesse delle loro competenze.
Il ruolo della scuola è fondamentale perché si deve far
carico sia dell’educazione dei figli che quella dei genitori, per far questo
occorrono grandi risorse e grande impegno formativo che alle volte è ben
indirizzato ma come in tutte le operazioni complesse le devianze ci sono e mostrano
anche i loro miseri risultati.
Non è un colpevolizzare a priori il ‘giovane genitore’, che merita tutto il rispetto e la fiducia, ma si
tratta di far passare il messaggio che l’esperienza dei nonni è un esempio
concreto di come ci voglia una sedimentazione lunga per acquisire certe
competenze e gli errori sono una fase utile e proficua per apprendere nuovi
strumenti e conoscenze per risolvere i problemi.
Il tempo dunque è un fattore che oppone resistenza a questo
passaggio fondamentale, per una società basata su principi e idee ben radicate,
oggi la fretta impera in ogni settore e grazie a questa fretta stiamo
distruggendo un tessuto sociale in nome del digitale, del progresso, del futuro
ci preoccupiamo dei risultati immediati eclatanti che fanno notizia; ma
provengono sempre da persone che hanno messo lunghi anni di esperienza al
servizio di altri individui che in parte hanno acquisito velocemente sempre
facendo balzi improvvisi e non percorsi ben maturati.
Oggi si ha fretta perché ci sono tempi da rispettare, ma i
tempi di apprendimento sono un fattore individuale e personale che in un
processo standardizzato o falsamente attento alle singole esigenze non può
rallentare ma cercare di trascinare chi dimostra difficoltà in modo da poter
mantenere un’immagine positiva sui risultati.
Questo ragionamento ovviamente è generalizzato e ci sono
eccellenze educative ovunque nel nostro paese che sono in grado di dare un
concreto contributo, ma sono in minoranza e non in grado di sopperire a un
problema così grande.
Quindi investire sulla cultura, sulla famiglia, sulla scuola
non è un mero ragionamento in termini economici per migliorare infrastrutture
ma bensì una oculata scelta di investire sulle persone, per avere come
risultato dei cittadini che concretamente contribuiscono alla crescita del loro
territorio e in grado di reagire a mode, provocazioni, diritti violati con
conoscenze e competenze sicure e durature nel tempo.
Un saluto dal vostro prof, Maurizio Ricci
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